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Il 12 dicembre a Pisa la giornata di sciopero generale dei lavoratori e
delle lavoratrici vedrà sfilare insieme, partendo dalla stessa piazza, operai
della provincia industriale, dipendenti delle cooperative sociali, che
nella nostra provincia rappresentano l’ultima frontiera dello sfruttamento (dei
bisogni e dei lavoratori), migranti che a causa dell’esasperata flessibilità
del mercato del lavoro fanno la spola tra lo schiavismo cantieristico e quello
industriale delle aziende tessili
del Valdarno e la costrizione alla vendita ambulante; impiegati, genitori e
insegnanti, studenti – ma già precari – delle scuole superiori e delle
Università, in lotta contro precarietà e distruzione della formazione pubblica.
L’estremo valore politico che ricopre l’unità di questi oggetti sociali
all’interno di una manifestazione ontro le crisi, sta nel fatto che
rappresenta il primo tentativo di generalizzazione delle resistenze
nell’era di una crisi strutturale di un sistema che si basa sulla produzione di
valore fittizio sulla pelle, e sulla capacità di esistere, della quasi totalità
della popolazione.
Un sistema dominante che è arrivato a generalizzare la mercificazione:
dopo il lavoro è toccato, e tocca, a territori e ambienti, al diritto
all’istruzione, alla sanità, alla pensione, all’assistenza, alla casa. Un
sistema che quotidianamente costringe le vite di decine di migliaia di persone
ad essere legate, come variabili dipendenti, alla roulette finanziaria dei
mercati, alle manovre di imprenditori, banchieri, speculatori e governanti che,
dopo aver ingrassato il portafoglio, hanno deciso di scaricare i costi di una
crisi internazionale sulle fasce di popolazione più deboli, estendendo ed
intensificando l’espropriazione sociale nei loro confronti.
Ma in questa città qualcosa si è messo in moto, qualcosa che nasce dal rifiuto
di vedersi ridotto ad oggetto da consumare, qualcosa che si nutre di dignità,
conflitto e cooperazione, che parte dalla difesa e dalla resistenza, ma che si
scopre motore del progresso sociale comune e collettivo.
NOI LA CRISI NON
LA PAGHIAMO:
le mobilitazioni di quest’autunno hanno visto i migranti determinati
nell’opporsi ai tentativi dell’amministrazione comunale di precarizzare ancora
di più le loro vite; in autonomia si sono riappropriati del diritto
all’esistenza, occupando la visibilità pubblica dominata dal razzismo sociale.
Gli studenti, i precari, i genitori hanno occupato, manifestato e bloccato la
città per due mesi, opponendosi alla legge 133 e dando vita ad un processo di
autorganizzazione della formazione che si nutre della conflittualità contro il
governo, le istituzioni accademiche universitarie e scolastiche. Le continue e
permanenti occupazioni di scuole, facoltà, poli didattici e rettorati ne
esemplificano la radicalità delle forme e la determinazione dei contenuti.
Le occupazioni delle case sfitte, i picchetti contro gli sfratti, le
mobilitazioni contro i licenziamenti e la mobilità, la riappropriazione di
spazi sociali e l’autogestione di cultura, sport e musica, le autoriduzioni di
bollette e trasporti…è questo lo scenario che abbiamo davanti per evitare che
questa crisi ricada sulle spalle di chi di chi da sempre la subisce e n on su
quelle di chi l’ha prodotta.
Noi questa crisi la vogliamo rovesciare: contro chi privatizza i guadagni e
socializza le perdite, contro chi mette all’asta tutti i nostri diritti, noi
iniziamo da una 2 giorni di occupazione ed iniziative, RIAPPROPRIANDOCI di
tutto quello che da sempre ci espropriano.
NOI LA CRISI NON
LA PAGHIAMO
NOI LA
CRISI VE LA
CREIAMO
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