Da lunedì a venerdì, per un’ora al giorno, gli abitanti del quartiere Sant’Ermete hanno disposto la chiusura del tratto di strada, pericolosissimo, che li collega al resto della città. Di fronte alle mancanze delle istituzioni, sono stati gli stessi abitanti ad imporre la riduzione della viabilità automobilistica, pretendendo la messa in sicurezza definitiva della strada.
Lo avevano annunciato e lo hanno messo in pratica. Gli abitanti di Sant’Ermete hanno letteralmente preso in mano la situazione bloccando durante la settimana, a partire da lunedì, dalle 17 alle 18, il cavalcavia della discordia, per il quale da tempo chiedono all’amministrazione interventi urgenti. Dopo il primo giorno di blocco, la polizia stradale è intervenuta per dei rilievi sulla condizione della strada e la visibilità in orario notturno; dopo il terzo giorno erano stati “miracolosamente” reperiti dal comune i fondi necessari per realizzare l’intervento (un milione e mezzo di euro circa) e convocato un tavolo tecnico in prefettura per organizzare i lavori. Ma agli abitanti di Sant’Ermete, con l’esperienza di tante promesse mai mantenute da parte di assessori e prefetto, hanno deciso di continuare il blocco, con la richiesta di prendere parte, come uditori, a questo tavolo. Dopo il quarto giorno di blocco è giunta la promessa da parte del prefetto di incontrare il comitato immediatamente al termine del tavolo tecnico per riferire impegni e scadenze. Soddisfati del risultato, gli abitanti di Sant’Ermete hanno trasformato il blocco programmato per venerdì in un corteo informativo per le vie del quartiere, in cui hanno spiegato gli obiettivi raggiunti e rilanciato la mobilitazione per martedì mattina, alle 10, sotto la prefettura, durante la seduta della commissione tecnica.
Cinque giorni di lotta che hanno messo alle strette l’amministrazione comunale, costringendola ancora una volta a riconoscere la centralità delle istanze portate dai quartieri periferici pisani.
La periferia
Ogni periferia comincia con un esclusione territoriale.
Sembra strano parlare di periferie in una città di modeste dimensioni come Pisa, tanto più che un quartiere come Sant’Ermete si trova veramente vicino alla stazione dei treni e al resto della città. La strada di collegamento è però un cavalcavia che sovrasta i binari ferroviari, troppo stretto e sprovvisto di qualsiasi passaggio pedonale o ciclabile. Le difficoltà nel percorrerlo aumentano in orario serale e notturno, a causa della scarsa illuminazione.
Attraversare questo cavalcavia, per chi sia sprovvisto di un’auto, diviene dunque un’impresa realmente pericolosa (nel corso degli anni diversi sono i pedoni rimasti coinvolti in incidenti); a ciò va sommata l’assenza di servizi in Sant’Ermete (non c’è un supermercato, non ci sono poste) che rende necessari gli spostamenti, e la totale inefficienza e carenza dei mezzi pubblici.
L’importanza della “questione cavalcavia” comincia da qui: questo tratto di strada, la difficoltà ad attraversarlo per tante persone -primi fra tutti gli anziani- amplifica la distanza reale e conseguentemente amplifica l’esclusione territoriale di Sant’Ermete e la sua dimensione periferica.
Lottare per la messa in sicurezza del cavalcavia di Sant’Ermete vuol dire prima di tutto ribellarsi all’isolamento e all’esclusione di questa parte di città.
La lotta
Basta prese in giro.
La lotta per la messa in sicurezza del cavalcavia dura, con un’intensità crescente, da quasi due anni. E’ una lotta che è stata capace di individuare tutti i responsabili di questa situazione (comune, prefettura, gruppo delle ferrovie), e dotarsi volta volta degli strumenti necessari a chiamarli in causa.
In passato la strada era già stata bloccata simbolicamente, vi erano state raccolte firme e iniziative di informazione, incontri col prefetto e con gli assessori competenti. Il comune aveva scaricato la responsabilità sul gruppo delle ferrovie; allora erano stati invasi gli uffici della stazione, per ottenere un incontro coi dirigenti, i quali avevano dichiarato che invece era il comune a non aver ancora dimostrato un interesse reale nei lavori del cavalcavia. Un insopportabile scarica-barile a spese della cittadinanza.
Durante un’occupazione di due giorni nel quartiere San Giusto era stata duramente criticata la variante urbanistica che coinvolgerà quel territorio, smascherando un meccanismo molto semplice: quando di mezzo ci sono interessi economici per i privati e i costruttori, gli accordi tra comune e ferrovie vengono trovati in un batter d’occhio, anche per un progetto che prevede la demolizione e ricostruzione di un intero quartiere. Se invece non ci sono interessi economici in ballo, come nel caso del cavalcavia di Sant’Ermete, trovare un accordo diviene un’impresa.
In seguito a queste vicende, l’unico intervento effettuato è stata l’installazione di occhi di gatto catarifrangenti a bordo delle due corsie della strada. Lavori assolutamente insufficienti, che sono stati interpretati come l’ennesima provocazione da parte degli abitanti della zona. Di fronte al lassismo delle istituzioni il comitato di quartiere ha deciso di disporre una settimana di blocco del cavalcavia, comunicandolo con largo anticipo tramite assemblee e volantinaggio.
Il blocco
Bloccare oggi per non morire domani.
Il blocco del cavalcavia si configura quindi non come pratica di lotta simbolica, ma come intervento reale, portato avanti in maniera autonoma dai cittadini, per sopperire all’assenza delle istituzioni. In Sant’Ermete sono state messe in pratica dal basso alcune delle richieste mai accolte in questo anno e mezzo, e cioè la riduzione della viabilità su una strada ad alto rischio, in previsione di lavori definitivi di messa in sicurezza. In maniera proporzionata alle possibilità e alla forza del comitato di quartiere, per un’ora al giorno durante cinque giorni, i cittadini si sono sostituiti ai dirigenti predisposti a organizzare l’urbanistica e la viabilità. La strada non è stata solo chiusa per protesta, è stata chiusa perché non è sicura.
Il consenso
In cinque giorni blocco in tanti ci hanno dato ragione.
Che capacità occorrono per costruire una decisionalità autonoma, capace di invertire i processi di esclusione (territoriale, economica, sociale) a cui sono destinati i quartieri periferici, non per inettitudine ma per precise scelte delle amministrazioni? Quali abilità devono formarsi i comitati di quartiere per frapporsi in un modello di sviluppo urbano che vede gli investimenti in periferia materializzarsi solo sotto forma di speculazione e cementificazione?
Rispondere non è assolutamente semplice, e i cinque giorni di blocco del cavalcavia possono solo dare una vaga indicazione, da sviluppare e approfondire. Certo è che questa battaglia è stata capace di maturare una progressiva profondità, muovendo dal dato fondamentale del consenso. Questo fatto è stato evidente durante i blocchi, quando la gran parte degli automobilisti, dei passanti, degli abitanti nelle case limitrofe, nonché diverse associazioni del territorio, hanno manifestato in vario modo la propria approvazione e solidarietà all’azione. La battaglia del cavalcavia ha portato questo consenso a schierarsi, poiché in un anno e mezzo non si è assestata sulla mera campagna di opinione ma come lotta reale; lo ha inoltre arricchito di senso, dimostrandosi capace di interpretare una serie di sfaccettature ulteriori. Prima fra tutte la volontà di stabilire dal basso dove investire le risorse, quali lavori sono opere utili e quali sono speculazioni.
Inoltre, in maniera forse involontaria, ha leggermente incrinato l’immaginario tossico costruito intorno al concetto di sicurezza.
La sicurezza
Lottiamo per la nostra sicurezza.
Per la prima volta da molto tempo la parola sicurezza a Pisa assume il suo significato più autentico e importante. Siamo abituati, anche nella nostra città, a sentir sventolare questa parola senza alcuna cognizione di causa, per riferirsi ai venditori abusivi o ai senza fissa dimora. Siamo addirittura giunti al paradosso, nel quartiere di Putignano, limitrofo a Sant’Ermete, di veder schierati i militari contro un presunto “allarme rapine” (in una delle città col tasso di criminalità più basso d’Italia). Di fronte a queste derive, in Sant’Ermete si lotta per la vera sicurezza, cioè il diritto a non morire investiti mentre si attraversa la strada; e ancora una volta si dimostra che non sarà una maggior presenza di militari o poliziotti a garantircela, ma solo la partecipazione reale dei cittadini nella costruzione di territori commisurati ai propri bisogni e alle proprie necessità.
La lotta per la messa in sicurezza del cavalcavia non è vinta; martedì si terrà un’altra mobilitazione sotto la prefettura per imporre immediate misure emergenziali di riduzione del flusso di auto in attesa dei lavori definitivi e della costruzione della pista ciclo-pedonale. E anche se questa specifica battaglia fosse vinta nel breve periodo, non sarebbe che l’inizio; perché dalle periferie sta maturando una nuova presa di coscienza, la pretesa di non subire più ma di riappropriarsi delle risorse economiche e sociali necessarie per vivere bene. E per far ciò non vi è altra scelta che organizzarsi e lottare.