Ieri mattina a Cascina (Pisa) il
picchetto antisfratto del Progetto Prendocasa ha impedito all’ufficiale
giudiziario di eseguire l’ordinanza di sfratto nei confronti di una famiglia.
Subito dopo circa settanta persone hanno occupato la sede del comune.
Si è conclusa in tarda
giornata di ieri la mobilitazione per il
diritto all’abitare che ha visto impedire uno sfratto di una famiglia italiana,
composta da padre, madre e figlia, nel comune di Cascina, nella provincia di
Pisa.
Già dalle prime ore del mattino
più di cinquanta persone si sono radunate a casa della famiglia che avrebbe
dovuto essere sfrattata per non essere riuscita a pagare l’affitto negli ultimi
mesi. All’arrivo dell’ufficiale giudiziario, delle volanti della polizia
municipale, della proprietà privata immobiliare e del suo avvocato, il
picchetto ha impedito fisicamente lo sfratto ottenendo un primo obiettivo di
proroga di 15 giorni. Successivamente i manifestanti e la famiglia hanno
occupato la sala dell’ufficio comunale di Cascina, il cui assessore alle
politiche abitative si è dimesso nei giorni scorsi travolto da imputazioni
giudiziarie di favoreggiamento e concussione nell’assegnazione di alloggi
comunali. Dopo alcuni momenti di tensione con i vigili urbani, i manifestanti hanno ottenuto un incontro con
il Sindaco Franceschini per individuare percorsi di inserimento abitativo. Ma
il movimento per la riappropriazione del diritto alla casa non starà a
guardare, né nutre particolari speranze in istituzioni che hanno latitato fino
ad ora. L’attenzione rimane alta, e l’organizzazione del prossimo picchetto
antisfratto per il 25 febbraio è già iniziata coinvolgendo la vasta rete
sociale di cui il movimento dispone.
Da sottolineare ancora una volta
quanto nella Toscana “democratica” (e la provincia di Pisa vi si colloca a
pieno regime) le possibilità di mediazione sociale si riducano sempre più ad
intervelli di repressione, espulsione, sgombero e di vera e propria
“marginalizzazione” sociale. I migranti sono i primi a farne le spese, come
dimostrano anche gli sgomberi di questi giorni dei campi autocostruiti dalle
famiglie rom, ma proprio questo tentato sgombero coatto della famiglia
italiana, ci parla di una stretta repressiva anche nei confronti di soggetti
che fino a poco fa nella nostra provincia godevano, seppur parzialmente, di
ammortizzatori sociali. Ma soprattutto è da sottolineare che la capacità di
resistenza collettiva inizia ad essere praticata anche da quelle famiglie
“italiane”, creando crepe a quell’immaginario collettivo di guerra tra
poveri che contrappone proletari bianchi a proletari “stranieri”, ed a
praticare percorsi di ricomposizione sociale, culturale e generazionale (alla
difesa della famiglia la composizione dei “piqueteros” era di giovani precari
italiani, studenti universitari, studenti medi, migranti di varie nazionalità).
Una prima vittoria all’insegna
dell’autorganizzazione e della riappropriazione, riprova del fatto che al vuoto
politico di istituzioni e servizi sociali, è solo la contrapposizione politica
del movimento degli spossessati a garantire il diritto alla casa.